domenica 7 settembre 2008

risposta a daniele de angelis

Sei un genio invece, hai colto appieno il senso e la difficoltà che questo progetto incontra nella pratica. La teoria è davvero un’ideale lontano dalla pratica, dalla sua realizzazione.
Dalla prima volta in cui ho avuto l’intuizione per questo lavoro, ho anche sospettato le difficoltà teoriche e pratiche per portarlo a termine.
E’ evidente che un confine politico o temporale non possa esaudire tutta una serie di riflessioni/esigenze. Basta pensare a quei luoghi nel mondo dove anche l’imposizione di confini non da tregua ai conflitti fra i popoli (palestinesi-israeliti). Inoltre c’è anche il fattore tempo che è umano come lo sono le barriere, è una forma di confine.
Tant’è vero che per ovviare a una serie di problematiche sulle appartenenze avevo pensato di restringere la ricerca degli esemplari “doc” a partire dalla data dell’unità d’Italia (cioè da quando iniziano i primi censimenti della popolazione). Verificare quale casato o quale famiglia fosse già stanziale in un determinato territorio prima del 1861.
Queste erano le mie riflessioni “dall’alto” della mia infinita ignoranza.
Naturalmente nella mia visionarietà vedevo anche archivi e impiegati tutti pronti, ordinati e disponibili a corrermi in aiuto!!
Ti riporto a seguito alcuni brani di “Cristo si è fermato a Eboli”, di Carlo Levi. Li ho trovati particolarmente calzanti ed evocativi:
“Parlavo con i contadini, e ne guardavo i visi, e le forme: piccoli, neri, con le teste rotonde, i grandi occhi e le labbra sottili, nel loro aspetto arcaico essi non avevano nulla dei romani, né dei greci, né degli etruschi, né dei normanni, né degli altri popoli conquistatori passati sulla loro terra, ma mi ricordavano le figure italiche antichissime. Pensavo che la loro vita, nelle identiche forme di oggi, si svolgeva uguale nei tempi più remoti, e che tutta la storia era passata su di loro senza toccarli. Delle due Italie che vivono insieme sulla stessa terra, questa dei contadini è certamente quella più antica, che non si sa donde sia venuta, che forse c’è stata sempre. Humilem quevidimus Italiam: questa era l’umile Italia, come appariva ai conquistatori asiatici, quando sulle navi di Enea doppiavano il capo di Calabria. E pensavo che si dovrebbe scrivere una storia di quello che non si svolge nel tempo: la sola storia di quello che è eterno e immutabile, una mitologia. Questa Italia si è svolta nel suo nero silenzio, come la terra, in un susseguirsi di stagioni uguali e di uguali sventure, e quello che di esterno è passato su di lei, non ha lasciato traccia, e non conta.”
Qui in qualche modo parla di questo popolo (quello contadino) che si è “conservato”; in seguito parla anche di quanto questo popolo abbia lottato per non uniformarsi a religioni o Stati di sorta.
Ma per me è stato uno spunto per prendere coscienza ulteriore di quanto il popolo italiano nelle sue divisioni politico/geografiche non esista, ma sia proprio il frutto di conquistatori e conquiste.

Tu hai aggiunto ulteriori spunti e sfumature e credo che sotto la luce che hai colto il progetto sia molto più contemporaneo, molto più relazionato alla realtà, all’oggi.
Se riuscissi a lavorare secondo un fluire delle cose se non volessi rimanere all’interno di una rigidità di pensiero, geometrica, ristretta, tutto sarebbe più semplice.
A presto!

Grazie infinite
Katia.

alcune riflessioni del poeta daniele de angelis

cara katia, ho dato un'occhiata al tuo blog e al progetto che hai in mente di realizzare. il procedimento generale sembra interessante, e soprattutto la sua messa in pratica, i calchi, le anfore antropomorfe, l'aspetto ironico del reperto archeologico creato "a tavolino", quindi non interno al tempo ma immesso volontariamente in esso. detto questo volevo, comunque, suggerire alcuni spunti di riflessione. il primo riguarda proprio il concetto di doc. ho pensato a tutte le varie diatribe regionali, ma anche mondiali, riguardanti i parametri di valutazione affinché un prodotto possa essere considerato doc, alla loro labilità e spesso inconsistenza, perché basati su fattori che non si ripresentano sempre uguali nel tempo (basta pensare alle annate dei vini, o ai pascoli inquinati). in più, proprio per il fatto di inserire i calchi di queste persone-campione all'interno di anfore, quindi merce preziosa ma pur sempre merce, il concetto di doc, o meglio la sua precarietà, si allarga a quello della contraffazione, ai prodotti importati che imitano il doc italiano. il secondo si ricollega al fatto che un "esemplare" tipico di ogni regione italiana, dal mio punto di vista, oggi è difficile trovarlo (se mai è esistito). questo rapporto con l'appartenenza forse mi viene dalla mia regione, le marche, terra di confine tra nord e sud, inesistente proprio perché "marca", semplice confine. un insieme plurimo emiliano al nord, umbro-laziale al centro e abruzzese al sud (dalle mie parti). ma un esempio del genere si può fare, credo, per quasi tutte le regioni italiane (quelle del nord che confinano con francia, austria, svizzera; o quelle del nord-est che confinano con la croazia e la slovenia, e via dicendo). si potrebbe quindi riflettere proprio sull'impossibilità di trasmettere al futuro un carattere specifico ed unico, un doc per ogni regione, e giocare sulla commistione tra italiani e stranieri, quindi un marchigiano-albanese, un umbro-tunisino... inserire, insomma, dei particolari che mettano in crisi il concetto stesso di trasmissione e di salvaguardia.per spiegarmi meglio ti invio anche un mio testo inedito che prende in considerazione la "menzogna", o meglio l'impossibilità di ricostruire un discorso.spero di non essere stato troppo presuntuoso nel suggerirti queste mie idee.
un caro saluto
daniele

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